lunes, 13 de febrero de 2012

Frontiere da incubo

(pubblicato in Le Migrazioni e la sfida della convivenza, Cittanuova - febbraio 2012) 

La popolazione di origine messicana negli USA sfiora i 30 milioni, quasi la metà del numero dei latinoamericani. Molti di loro arrivati clandestinamente. Li c’é lavoro per tutti. Carlos fu uno di quegli avventurieri che decise inoltrarsi senza visto. Messicano, dello stato di Oaxaca, abitava con la famiglia in suburbio malfamato di Città del Messico.
 Carlos pensò alla vita che li aspettava, a quella dei tre fratellini e disse che non ci stava. Con i risparmi di un anno giunse alla frontiera, e poi attraversare il confine fu un’odissea in cui rischiò la vita. Recatosi prima in California, lavorava in una fattoria, a pulire i campi ed aiutare nei raccolti. Per 4 anni finché  arrivò un’offerta per spingersi fino alla lontana Alaska. Ora continua lì, con la moglie e due figli, e lavora da spalatore di neve in inverno e giardiniere in estate. Anche la moglie lavora. Ma da clandestini hanno sempre il timore di essere scoperti e lui, separato dalla famiglia,finire in carcere o deportato.
Tanti altri ci hanno provato, ma non a tutti va bene. C’è chi ci lascia la pelle e gli altri devono vedersela con i trafficanti, “coyotes”, che lucrano sulla loro pelle per scaricarli dall’altra parte, attraverso sentieri impervi per evitare la temibile Border Patrol. 
Ai messicani si aggiungono molti atri latinoamericani che giungono dal sud. Su rudimentali zattere attraversano il fiume Suichale al confine con Guatemala. In maggioranza sono centroamericani e si calcola in 400 mila l’anno il loro numero, di cui circa 150 mila, scoperti, saranno rimpatriati. In Messico sarà dura per loro. Presto, un coyote si avvicinerà per offrire di guidarli fino al confine nord. Pago anticipato. Ma saranno abbandonati al minimo indizio di problemi con la polizia.
I più poveri si avventurano sulla “Bestia”, un treno merci, che lega le regioni del sud del Messico (Chapas y Oaxaca) con il nord, attraverso municipi sperduti. Si istallano sul tetto dei vagoni e per 7, 8 o 10 giorni e notti aggrappati come possono. Dovranno difendersi dai ladroni, dagli agenti di Migrazione, la Migra,  saltare dal treno  per scappare ai controlli. Tanti restano mutilati per le cadute al salire o scendere con il treno in movimento, o cadono sulle rotaie sfiniti dalla fatica e dal sonno.
Anche i Narco li hanno sul mirino. I migranti clandestini sono vulnerabili, indifesi. Li sequestrano lungo il percorso per ricattare i parenti. Li tengono imprigionati in condizioni miserabili, le donne stuprate, fino a ottenere il riscatto, 2000, 4000 dollari. Se non pagano, li ammazzano, uno, due, settanta, senza pietà. Sanno i loro percorsi e quanti sono. Bloccano i mezzi su cui viaggiano e li portano via pistole in mano, e non solo per il riscatto, anche per arruolarli forzosamente fra le loro fila. Chi si oppone è spacciato.
Per chi riesce ad arrivare negli Stati Uniti comincia l’altra odissea, quella della vita in clandestinità, che si è fatta più dura dagli inizi del 2000, per l’irrigidirsi delle leggi. Nel 2010 solo i messicani espulsi erano 637 mila. Tanti non si rassegnano. Se riescono di sfuggire agli agenti della Migra, ci riprovano una o dieci volte. Non hanno nulla da perdere.
Le politiche pubbliche degli Stati Uniti e del Messico, per diversi motivi sono ugualmente responsabili del tratto inumano riservato ai migranti clandestini. La criminalizzazione della migrazione, per motivi razziali o ideologici, insieme alla violazione dei diritti fondamentali dei migranti sono alla base di tante brutalità. Un riconoscimento realistico, onesto, del valore produttivo del migrante nel paese di arrivo, insieme a politiche migratorie accordate fra i paesi della regione, con spirito di collaborazione, spianerebbe il cammino per politiche che salvaguardino i diritti umani dei migranti clandestini e la loro integrazione sociale, segno di vera civilizzazione.
Filippo Casabianca
Ciudad Nueva Messico

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